Ben sappiamo che ci sono situazioni in cui la “fantasia” supera la realtà.
I mercati finanziari non fanno eccezione: anzi, a guidarli, il più delle volte, sono le aspettative più che un’analisi puntuale delle fasi che li caratterizzano. Infatti non a caso si muovono “in anticipo” rispetto a ciò che si prevede possa accadere, “scontando”, quindi, nelle quotazioni, quel momento.
Ma la realtà non sempre rispecchia le attese. Non per niente una delle frasi più note di Niels Bohr, premio Nobel per la fisica nel 1922 per i suoi studi sulla struttura atomica, è “Le previsioni sono estremamente difficili. Specialmente sul futuro”. Ecco, quindi, che, laddove il quadro reale sia, magari anche di poco, diverso da quello immaginato, spesso si verificano “movimenti tellurici” che possono togliere qualche certezza. A maggior ragione quando si tratta di eventi negativi.
Indubbiamente il momento che stiamo attraversando, dal punto di vista dei mercati, può essere considerato come “il migliore dei mondi possibili”. Le ragioni sono molteplici: a livello globale l’economia è destinata a crescere, senza alcuno shock recessivo, con gli utili aziendali che continuano a dare più di una soddisfazione agli azionisti, l’inflazione è data in calo, sempre più vicina al famoso “target” (2%) fissato dalle Banche Centrali, i tassi sono prossimi al primo taglio, le crisi geo-politiche, per quanto incombenti, continuano a non “sfuggire di mano”. Di conseguenza i mercati sono “sintonizzati” sul “best case”, in cui ogni ingranaggio “gira”, senza intoppi, appunto nel miglior modo possibile.
Può succedere, però, che qualche granellino di sabbia, ogni tanto, vada ad inceppare il meccanismo, “disturbando” il buon funzionamento della macchina.
Quello che si è verificato ieri si può inquadrare come tale.
E’ emerso, infatti, che dall’altra parte dell’oceano l’andamento dei prezzi non si sia confermato in linea con le aspettative. L’inflazione USA, per quanto già nei primi 2 mesi dell’anno avesse lanciato qualche campanellino di allarme, ha ribadito, per l’ennesima volta, quanto sia “appiccicosa” e non abbia alcuna intenzione di farsi da parte, portandosi al 3,5%, ben oltre il 3,2% di febbraio (già superiore al 3,1% di gennaio) e, quel che più conta, superiore al 3,4% stimato. Ancora peggio è andata per l’indice core, salito, con l’aumento dello 0,4% nel solo mese di marzo, al 3,8%. Insomma, è come se l’inflazione americana fosse tornata ai livelli di 6/7 mesi fa: dopo i minimi fatti toccare a giugno 2023 (quando arrivò a toccare il 3%), ha continuato a “ballare” tra il 3,1% (gennaio) e il 3,7% (settembre).
Immediate le reazioni sui mercati: il timore che le Banche Centrali rivedano le loro decisioni, allontanando ulteriormente il momento in cui inizieranno il taglio dei tassi, ha spinto molti operatori ad alleggerire, soprattutto sul mercato americano, le posizioni, mentre la parte obbligazionario ha nuovamente “allargato” spread e rendimenti. In un colpo solo la percentuale di chi ritiene che la FED già nel mese di giugno possa abbassare i tassi è praticamente raddoppiata, passando dal 42% di martedì all’83% di ieri, per scendere al 53% di possibilità a luglio. Uno “stato d’animo” facilmente leggibile dall’andamento del treasury: il governativo americano ha toccato, in chiusura, uno spread verso il bund tedesco (per quanto anche quest’ultimo attraversi una fase di debolezza relativa) di 211 bp, arrivando a toccare, sulla durata decennale, il 4,55%. Ancora peggio per le durate brevi, con il biennale intorno al 5%. Le scadenze brevi, infatti, sono ben più sensibili alle politiche monetarie, scontando in maniera più evidente l’eventualità di un rinvio: “l’inversione della curva” sta, appunto, ad indicare non solo che i mercati prevedono che nel lungo periodo l’inflazione sarà più bassa rispetto alla fase attuale, ma che ritengono che quest’ultima possa protrarsi per un periodo peggiore di quanto previsto.
Da qui a dire che “l’idillio” con i mercati (azionari e, forse ancora di più, obbligazionari) sia finito ce ne corre. Di certo “di acqua sotto i ponti”, in questi mese, ne è passata. Motivo per cui rallentamenti e/o prese di beneficio sono comprensibili, a maggior ragione in concomitanza di eventi, almeno in parte, negativi, come quello di ieri. Come è certo che se la tendenza dovesse confermarsi, con i prezzi che continuano a mantenersi (senza esagerare) “in quota”, il nervosismo sarebbe sempre più evidente, togliendo ulteriori certezze.
Non va dimenticato, peraltro, che questa è la fotografia “americana”. In Europa le cose stanno in maniera un po’ diversa, come ben sappiamo, con una crescita che fatica a tenere il passo e un’inflazione che ha dato segnali di maggior debolezza. Il calendario, pertanto, al momento, non dovrebbe subire variazioni, con la BCE che con il mese di giugno dovrebbe dare il “via alle danze”, tagliando dello 0,25%, con i tassi che a quel punto dovrebbero scendere al 4,25%.
Dopo le chiusure negative di ieri sera a Wall Street (Nasdaq – 0,87%, Dow Jones -1,09%, S&P 500 -0,95%), questa mattina le piazze del Pacifico danno segnali di tenuta.
il Nikkei di Tokyo, dopo una partenza piuttosto pesante, ha recuperato sino a portarsi a – 0,35%.
Idem per Hong Kong, dove l’Hang Seng sfiora la parità (– 0,10%).
Meglio ancora Shanghai, a + 0,20%.
In rialzo anche la borsa di Seul, con il Kospi a + 0,30%.
Futures poco mossi di qua e di là dell’oceano.
Sempre fermo il petrolio, con il WTI a $ 86,15 (- 0,19%).
Gas naturale Usa $ 1,87, – 0,95%.
Oro appena sotto il record, a $ 2.355.
Spread a 133,2, con il BTP a 3,79% dal 3,74% del giorno precedente.
Bund a 2,43%, 6 bp sopra il livello del giorno precedente.
Treasury a 4,53%.
Forte apprezzamento del $: il possibile ritardo della FED nel tagliare i tassi ha portato il “biglietto verde” a 1,0733 vso €.
Bitcoin a $ 70.756 (+ 0,17%).
Ps: questa volta, forse in maniera definitiva, lo “spirito Decoubertiano” è destinato ad andare in soffitta. Infatti, il CIO (Comitato Olimpico Internazionale) ha stabilito che, alle prossime Olimpiadi parigine, ai vincitori della medaglia d’oro andranno $ 50.000. Va detto che già oggi, ai Campionati del mondo di atletica, i vincitori dell’oro “si portano” a casa $ 70.000. Nulla di sconvolgente, in un’epoca in cui molti atleti professionisti guadagnano ingaggi ultramilionari (ma ci sono specialità che “vedono la luce” solo alle Olimpiadi). Ma oramai, evidentemente, “partecipare e basta” non è più sufficiente.